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Regione Basilicata

Informazioni Edilizia privata

Informazioni utili Edilizia privata


Sezioni

Una sentenza recente della Cassazione Penale, la n.4625/2022, che è molto chiara sull’argomento: per ottenere la sanatoria edilizia (che è diversa dal condono e anche dalla sanatoria giurisprudenziale…) ex art.36 del Testo Unico Edilizia – e quindi il permesso di costruire in sanatoria – deve esserci il rispetto del requisito della doppia conformità. Se c’è, l’abuso è sanabile. Se non c’è, no.

NECESSITÀ DEL TITOLO EDILIZIO, PERIODO DI REALIZZAZIONE, LA REGOLA ANTE 1967 E ANTE 1942
Per risolvere la questione il TAR Puglia-Lecce, sentenza 01/02/2021, n. 162, ha riepilogato la normativa in materia, ricordando che l’obbligo di preventivo titolo edilizio è stato introdotto nel 1942 dalla Legge urbanistica (art. 31, L. 17/08/1942, n. 1150, entrata in vigore il 31/10/1942), ma limitatamente agli immobili ricadenti nei centri abitati. Solo con l’art. 10, L. 765/1967 (che ha sostituito il suddetto art. 31 a decorrere dal 01/09/1967) tale limitazione è stata soppressa e l’obbligo di premunirsi della licenza edilizia è stato esteso a tutto il territorio comunale e quindi anche alle zone fuori del centro abitato.
Per semplicità, tali indicazioni possono essere schematizzate secondo la seguente tabella.

Data di realizzazione Ubicazione rispetto al centro abitato Obbligo di Titolo edilizio (*)
Fino al 30/10/1942 Interna NO
Esterna NO
Dal 31/10/1942 al 31/08/1967 Interna SI
Esterna NO
Dal 01/09/1967 ad oggi Interna SI
Esterna SI

Molti pensano che prima del 1° Settembre 1967, data di entrata in vigore della Legge ponte n. 765/67, tutte le costruzioni allora compiute o iniziate rientrassero in un regime che oggi chiameremmo di “edilizia libera”.
In questo modo, si risolverebbe la questione della legittimazione urbanistica di una certa categoria di immobili e opere ormai ultracinquantennali.
Purtroppo le cose non stanno così, ed è per questo che occorre ponderare bene il valore e la veridicità della dichiarazione “Ante ‘67”: essa è resa come dichiarazione sostitutiva di atto notorio per attestare la preesistenza dell’immobile al 1° settembre 1967.

Essa viene resa dal proprietario o avente titolo sull’immobile per diversi motivi:

Allegarla ad atto notarile di trasferimento tra vivi;
Resa e incorporata nello stesso tipo di atto di trasferimento;
Nelle pratiche edilizie ordinarie;
Nelle sanatorie edilizie;
Nei condoni edilizi;
Nelle CTU delle esecuzioni;
opposizione a ordinanze di demolizione;
Eccetera;

Detto ciò, il contenuto e forma di quella dichiarazione non sono sufficienti per certificare quella circostanza, e gli enti pubblici possono chiedere ulteriori dettagli in merito, potendola ritenere di valore non sufficiente.
Il Consiglio di Stato ci ricorda nuovamente che tale dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà costituisce un semplice indizio insufficiente a dare dimostrazione dell’epoca d’effettiva realizzazione dei manufatti abusivi (Cons. di Stato n. 302/2020).
Ad esempio non è sufficiente per escludere l’immobile dalla richiesta di titolo edificatorio in sanatoria, e neppure di fronte all’ordinanza di demolizione emessa dal Comune.

Costituisce consolidata giurisprudenza (Cons. di Stato n. 5057/2012) il principio per cui l’onere di provare l’ultimazione dei lavori grava sul richiedente la sanatoria in quanto:
1. Il proprietario può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista;
2. La P.A. comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono;

Provando a dirlo in altre parole, la dichiarazione di per sé non costituisce prova o elemento probatorio, ma puramente indiziario. Ed ecco che si rende necessario rafforzare il valore indiziario della dichiarazione con altri documenti o elementi di corredo. Possono essere foto aeree, documenti catastali, atti notarili, contratti di locazione registrati, fotografie con data certa, ecc.

Se tutto ciò non può essere dimostrato è necessaria una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte di n° 3 soggetti che attestano la presenza dell’immobile.

Il documento individuato dal art. 8 comma 2 DLgs 192/2005 deve essere firmato dal direttore dei lavori e presentato in sede di “Fine Lavori” all’ufficio tecnico del Comune. L’ AQE descrive le caratteristiche dell’edificio dal punto di vista energetico, vengono descritte le caratteristiche dell’involucro, degli impianti, i dati geometrici.

Differenza tra AQE e APE

L’attestato di prestazione Energetica rispetto all attestato di QualificazioneEnergetica si differenzia per i seguenti aspetti:

  • l’ AQE può essere redatto da un tecnico che è stato coinvolto nelle altre fasi di intervento
  • l’ AQE va consegnato al comune per la “fine lavori” mentre l’APE al proprietario che poi provvederà a richiedere il certificato di agibilità.
  • l’AQE propone la classe energetica mentre l’APE la dichiara.
  • Fino al GiuGno 2010, per le compravendita l’AQE sostituiva l’APE. Attualmente in caso di rogito o affitto è indispensabile l’APE

Quindi:

L’ Attestato di Qualificazione Energetica è un documento che sintetizza le caratteristiche energetiche dell’ edificio. Contiene la classe di appartenenza dell’edificio e i fabbisogni di energia primaria.

L’AQE si differenza dall’APE per tre aspetti fondamentali:

  1. L’AQE può essere redatto anche da un tecnico abilitato che è stato coinvolto nei lavori dell’ edificio da valutare, mentre nel caso dell’APE il certificatore energetico è un soggetto estraneo alle altre fasi del processo di progetto e realizzazione in quanto ha un ruolo di “collaudatore”.
  2. L’AQE non prevede l’assegnazione di una classa energetica ma solo “una proposta”
  3. L’AQE va consegnato al comune mentre l’APE alla Regione

Adempimenti del Direttore dei Lavori nella fase di “fine lavori”

L’AQE viene firmato dal direttore dei lavori in modo da asseverare come sono state realizzate le componenti che interessano gli aspetti energetici dell’edificio. E’ importante ci sia quindi coerenza tra i dati presenti nell’AQE e quello che è stato definito in fase di progetto nella relazione energetica (chiamata anche ex “legge 10”)

L’AQE va consegnato al comune (e non alla Regione come nel caso dell’APE) contestualmente ai documenti della fine lavori. Il direttore dei lavori che omette la presentazione dell’AQE può incorrere in sanzioni tra 1000 euro e 6000 euro. Inoltre la dichiarazione di fine lavori è inefficace se la stessa non è accompagnata dall’AQE asseverato.

Quando è obbligatorio redigere l’AQE?

I casi in cui vige l’obbligo di redigere l’AQE sono definiti nell’articolo 3, comma 2 del D. Lgs 192/2005:

  • edifici di nuova costruzione
  • nuovi impianti installati in edifici esistenti
  • ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1.000 metri quadrati
  • demolizione e ricostruzione in manutenzione straordinaria di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1.000 metri quadrati
  • una applicazione integrale, ma limitata al solo ampliamento dell’edificio nel caso che lo stesso ampliamento risulti volumetricamente superiore al 20 per cento dell’intero edificio esistente
  • sostituzione di generatori di calore

Nelle tipiche “ristrutturazioni di appartamenti” (Manutenzione Straordinaria comunicata con CILA) quindi sembrerebbe (utilizzo il condizionale perchè la norma non è per niente chiara) esserci l’obbligo di AQE solo nel caso di sostituzione degli impianti. Meno chiaro è l’obbligo in caso di sostituzione degli infissi.

In caso di fusioni e frazionamenti non c’è obbligo di AQE

Ulteriori informazioni

  • Fino al 2009 L’ AQE sostuituiva L’ APE per quelle regioni che ancora non avevano provveduto ad emanare decreti attuativi del D.M. 26/6/09.
  • L’AQE si calcola con la procedura di “calcolo di progetto o calcolo standardizzato” che si basa sui dati in ingresso derivati dalla relazione energetica (Ex Legge 10)
  • L’AQE si realizza con i software che si usano per redigere anche la certificazione energetica APE

Sono volumi tecnici i vani e gli spazi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso alle apparecchiature degli impianti tecnici al servizio dell’edificio (idrico, termico, di condizionamento e di climatizzazione, di sollevamento, elettrico, di sicurezza, telefonico, ecc.).

Di seguito, a titolo esemplificativo, sono elencate le possibili tipologie che possono rientrare nella definizione di volume tecnico:

  1. a) le cabine elettriche ed i locali caldaia;
    b) i locali per il trattamento ed il condizionamento dell’aria;
    c) i locali per il trattamento ed il deposito di acque idrosanitarie, serbatoi idrici;
    d) i volumi extracorsa degli ascensori e i relativi locali macchina;
    e) gli apparati tecnici per la sicurezza e l’igiene nonché quelli per lo smaltimento dei fumi quali comignoli e ciminiere;
    f) lo spazio necessario per l’accantonamento o accatastamento dei rifiuti urbani, in conformità alle leggi igienico-sanitarie, a servizio della società di gestione del servizio;
    g) torrini scala;
    h) le installazioni di impianti a pannelli solari termici o fotovoltaici;
    i) tutti gli altri impianti tecnologici e le opere che a tali categorie sono comunque assimilabili.

Dunque, ricapitolando, il Volume Tecnico per sua definizione è un volume strumentalenecessariodel quale non si può fare a menoche assolve ad una specifica funzione di contenimento di macchinari e apparati tecnici, oppure di copertura e protezione dei collegamenti verticali. Il Regolamento Edilizio Tipo ci dice anche un’altra cosa importante: che quella relativa ai volumi tecnici è una definizione che assume rilevanza urbanistica. Questo significa che la classificazione di un volume come “volume tecnico” incide sui parametri edilizi relativi al progetto.

Ciò appare ancora più chiaro se si spiega che i volumi tecnici non vengono computati nel calcolo della volumetria complessiva consentita, purché si pongano in rapporto di funzionalità necessaria rispetto all’utilizzo della costruzione e purché non assumano caratteristiche di vani utilizzabili come abitabili.
Questa interpretazione è stata per la prima volta messa nero su bianco con una circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 1973la numero 2474 del 03/01/1973, che ha risposto ad alcune richieste di chiarimenti in merito, formulate dai Comuni. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, all’uopo interpellato, ha espresso il proprio parere. In particolare:

I volumi tecnici debbono:

  • avere stretta connessione con la funzionalità degli impianti tecnici indispensabili per assicurare il comfort abitativo degli edifici
  • essere determinati dalla impossibilità tecnica di poterne provvedere l’inglobamento entro il corpo della costruzione (TAR Puglia I n. 1042/2018). In questo caso, l’impossibilità di collocazione interna rende obbligatorio il suo inserimento all’esterno, in un distinto manufatto.
  • esclusivo utilizzo ai fini impiantistici che devono essere contenuto al suo internoCiò premesso, il Consiglio Superiore propone la seguente definizione:

«Devono intendersi per volumi tecnici, ai fini della esclusione dal calcolo della volumetria ammissibile, i volumi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’eccesso di quelle parti degli impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione ecc.) che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare luogo entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche».

Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici fa presente, a titolo esemplificativo, che sono da considerare “volumi tecnici” quelli strettamente necessari a contenere i serbatoi idrici, l’extracorsa degli ascensori, i vasi d’espansione dell’impianto di termosifone, le canne fumarie e di ventilazione, il vano scala al di sopra delle linee di gronda. E fin qui siamo allineati con l’odierno RET.

Tuttavia il parere del Consiglio Superiore LL.PP. fa di più: ci dà anche indicazioni su cosa non è da considerare come volume tecnico:

Non sono invece da intendere come volumi tecnici i bucatai, gli stenditoi coperti, i locali di sgombero e simili.

Nel parere è inoltre chiarito che “In ogni caso la sistemazione dei volumi tecnici non deve costituire pregiudizio per la validità estetica dell’insieme architettonico.

I volumi tecnici non possono essere in alcun modo utilizzati o riconvertiti ai fini abitativi. Perché questo possa essere escluso nella più ampia casistica essi non devono avere caratteristiche di un vano ad uso residenziale: è esclusa quindi l’altezza abitabile, è escluso il rispetto dei parametri aeroilluminanti previsti per i locali di civile abitazione, è escluso che possano essere più ampi rispetto alla superficie minima definita per i monolocali ad uso abitativo.

Qual è l’orientamento della giurisprudenza?

Questi concetti sono confermati anche da numerose sentenze, intervenute nel corso del tempo e che sono generalmente concordi tra loro, come le seguenti:

«I “volumi tecnici” sono i volumi – non utilizzabili né adattabili ad uso abitativo– strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso di quelle parti degli impianti tecnici che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione all’interno della parte abitativa dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche» (Cass. pen., sez. III: 3 ottobre 2008, n. 37575, Ronconi; 21 maggio 2008, n. 20267, Valguarnera).

Sono volumi tecnici solo quelli adibiti alla sistemazione di impianti (riscaldamento ascensore etc.) aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa (cfr. Cons. St., Sez. V, 31-1-2006, n. 354).

I volumi tecnici non rientrano nel conteggio dell’indice edificatorio, in quanto non sono generatori del c.d. carico urbanistico e la loro realizzazione è finalizzata a migliorare la funzionalità e la salubrità delle costruzioni. Essi non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, sicché non sono tali i locali complementari all’abitazione (cfr. Cons. St., Sez. V, 13-5-1997, n. 483), come le soffitte o i bagni, destinati a formare un’unica unità abitativa e privi di una effettiva destinazione ad impianti tecnologici.

Il beneficio del mancato computo volumetrico (derivante dalla iscrizione al concetto di volume tecnico) risulta necessariamente condizionato alla sussistenza dei suddetti presupposti, cosicché non può esistere volume tecnico laddove si tratti di vani che presentano tutte le caratteristiche per essere adibiti all’abitazione» (T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. I, 11 febbraio 2010, n. 712).

Quali caratteristiche deve avere un vano tecnico per non essere computato nella volumetria?

Per inserire nel proprio progetto un vano tecnico che possa a tutti gli effetti essere considerato approvabile esso deve:

  1. Avere dimensioni strumentali ad ospitare macchinari ed impianti per i quali è necessario: a questo proposito può essere utile disegnare il layout interno del vano tecnico, indicando in pianta l’effettivo ingombro dei macchinari da allocare ed allegando le relative schede tecniche.
  2. Non avere utilizzabilità autonoma ma essere intrinsecamente connesso ed avere uno stretto rapporto di strumentalità con l’edificio principale;
  3. Rispettare  dimensioni massime di superficie netta  che in genere si attestano attorno ai 10-15 mq;
  4. Avere altezza massima 2,40 m, che si riferisce in genere alle destinazioni classificabili come SNR Superficie Non Residenziale, si tratta dell’altezza minima per le superfici accessorie, che non consente di trasformare in alcun modo il vano in abitabile;
  5. Non ospitare al proprio interno locali aventi destinazioni non consentite come ad esempio bagni, lavanderie, stenditoi ecc.

Allo stesso modo non può considerarsi un volume tecnico un locale sottotetto che abbia una rilevante altezza media rispetto al piano di gronda che sia collegato agli altri locali mediante una scala interna, dotato di una ampia finestra di aerazione e di una ulteriore apertura per accedere ad un terrazzo calpestabile e locali complementari all’abitazione, tra cui la mansarda (nonché la soffitta, gli stenditoi chiusi o di sgombero, etc.).

Deve essere in ogni caso chiaro che il Vano tecnico non deve avere essere progettato con il fine di essere trasformato in un monolocale abitabile, in un bagno, in una lavanderia, in una cucina, in qualsiasi altra stanza che possa essere definita superficie utile residenziale e come tale soggetta al pagamento del contributo di costruzione e computabile nella volumetria ammissibile. L’utilizzo di vani tecnici ai fini abitativi è un cambio d’uso non autorizzato ed integra la violazione edilizia ai sensi dell’art. 31 del dPR 380/2001, e pertanto costituisce un abuso edilizio penalmente perseguibile.

In generale è buona norma non realizzare i volumi tecnici se non strettamente necessari ed utilizzare ad esempio sottotetti esistenti oppure vani interrati o seminterrati per allocarvi gli impianti.
Qualora sia proprio indispensabile realizzare un vano tecnico in copertura è opportuno tenere sempre a mente quanto chiarito dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, ovvero che “In ogni caso la sistemazione dei volumi tecnici non deve costituire pregiudizio per la validità estetica dell’insieme architettonico.“.
Questa linea guida è troppo spesso dimenticata, in nome della funzionalità, oppure, nei casi peggiori, della speculazione. Non è infrequente, anche nei casi di edifici di nuova realizzazione, infatti, notare torrini scala dalle dimensioni abnormi, la cui collocazione e la cui estetica non è affatto studiata in termini architettonici e di armonia del prospetto dell’edificio.
È opportuno invece ridurre al minimo le caratteristiche dimensionali di vani tecnici e torrini scala, collocarli sul retro dell’edificio, lontani dal prospetto principale, al fine di nasconderli quanto più possibile alla vista, schermarli sul prospetto attraverso l’utilizzo di parapetti, corrimano o muretti d’ambito più alti, ovvero, laddove non sia possibile mascherarli completamente, inserirli nel contesto di riferimento, armonizzandoli con il prospetto, i suoi colori e i suoi materiali, oppure dando loro una caratterizzazione particolare (es. rivestimento particolare, schermature in legno ecc.).
È inoltre importante, visto che le nuove costruzioni sono soggette all’obbligo di garantire un certo apporto di energia attraverso fonti rinnovabili, comprendere come i volumi tecnici si possano integrare con i pannelli solari/fotovoltaici, studiando l’orientamento dell’edificio, il soleggiamento e quindi la perfetta collocazione dei pannelli rispetto ai vani tecnici, al fine di consentire di massimizzare l’energia prodotta.

Le caratteristiche di potenziale trasformazione postuma in altro esclude la qualifica di volume tecnico.
Qualora esso abbia requisiti di abitabilità, apparentemente modificati con opere tali da renderlo non abitabile, è da escluderne la natura di volume tecnico. Non deve esserci neppure un potenziale rapporto di utilizzo autonomo, quindi non devono esserci i presupposti di una futura trasformabilità in altro.
Esempio: la richiesta di realizzare un volume tecnico fuori terra con altezza interna di 2,70 ml non può passare inosservata, tanto per capirsi. E’ stato escluso che si possa considerare volume tecnico un locale con requisiti di abitabilità, reso non abitabile con una semplice operazione di tamponamento delle finestre, essendo questa «una operazione in sé talmente semplice, reversibile e surrettizia da non privare l’ambiente della sua intrinseca qualità abitativa» (Consiglio di Stato, sezione VI, n. 2825/2014).

Regolarità urbanistica

Ogni immobile, per essere realizzato, deve essere autorizzato da un procedimento dell’amministrazione comunale chiamato titolo abilitativo. La normativa di riferimento è il TUE (Testo Unico delEdilizia DPR 380/01).

La corrispondenza tra il progetto depositato al comune da un tecnico abilitato e lo stato di fatto dimostra la regolarità urbanistica (detta anche regolarità edilizia).

I titolo abilitativi con cui può essere autorizzato un edificio sono variati negli anni:

  • Licenza Edilizia: dal 1942 con la Legge 1150
  • Concessione Edilizia Onerosa: dal 1977 con la Legge 10
  • Permesso di Costruire: dal 2003 con il TUE DPR 380/01

I condoni edilizi concorrono a rendere un immobile regolare dal punto di vista urbanistico-edilizio quando viene rilasciato dal comune la Concessione in Sanatoria. I condoni sono stati tre: nel 1985, nel 1994, nel 2003.

Per immobili precedenti al 1942 si considera come legittimità urbanistica la planimetria catastale d’impianto del 1939-1940.

Come si verifica la conformità

Per verificare se un immobile (appartamento, villa, negozio o qualsiasi altro manufatto) è dotato della conformità urbanistica bisogna confrontare lo stato di fatto con il progetto depositato negli archivi comunali.

L’edificio potrebbe essere stato modificato o realizzato in maniera difforme al progetto presentato al comune. In questo caso non è possibile rilasciare la conformità urbanistica.

Quando è necessaria?

  • Per una compravendita: è consigliabile verificare la regolarità prima dell’offerta di acquisto perchè se l’immobile ha dei vizi può essere venduto e l’acquirente ne diventerà responsabile.
  • In caso di interventi edili come per una ristrutturazione.
  • Per richiedere un mutuo.

Principali cause di non regolarità

Esistono diversi tipi di difformità che non permettono il rilascio della conformità:

  • Edificio abusivo: quando non esiste alcun titolo abilitativo. (l’immobile è stato realizzato senza nessun provvedimento amministrativo). In questo caso un nuovo condono edilizio o un Permesso di Costruire in Sanatoria possono sanare la situazione. L’immobile in alcuni casi si può comunque vendere ed il nuovo proprietario diventerà il responsabile dell’abuso.
  • Piccole modifiche interne: in questo caso è possibile sanare la situazione con una SCIA per lavori già eseguiti (se i lavori sono stati effettuati dopo il 26 maggio 2010).
    Esempio: spostamento di alcune stanze, demolizione di tramezzi, unione del soggiorno e della cucina.
  • Modifiche esterne e aumento di volumetria: è possibile sanare con una SCIA o Permesso di Costruire in Sanatoria
    Esempio: chiusura del balcone con una veranda, apertura di una finestra o porta, cambio di destinazione d’uso, fusione o frazionamento di unità immobiliari.

Nella pratica le difformità sono innumerevoli ed ogni fattispecie merita una valutazione ed una risoluzione specifica. Non tutte le difformità si possono sanare, quindi bisogna prestare la massima attenzione prima di un acquisto.

Differenza tra regolarità urbanistica e catastale

Spesso la regolarità catastale e quella edilizia vengono confuse.

Regolarità Catastale: è la corrispondenza tra lo stato di fatto ed i dati catastali. Il catasto (Agenzia del Territorio) è un ufficio statale che ha una funzione prettamente fiscale. Non è “probatorio” e non dimostra alcunchè rispetto alla regolarità edilizia dell’immobile. Paradossalmente possono esistere immobile abusivi ma accatastati.

Regolarità Urbanistica: è la corrispondenza tra lo stato di fatto ed il titolo abilitativo con cui il comune (ente competente in materia edilizia) ha autorizzato la realizzazione dell’immobile. Questa è la regolarità “più importante” che va verificata in sede di rogito o prima di interventi di “ristrutturazione”.

Ciò che permette di verificare la presenza o meno di un abuso edilizio non è mai il catasto ma solo il titolo abilitativo al comune.

Abusi gravi

In caso di abusi edilizi, oltre ad una denuncia penale, sarà necessario provvedere alla demolizione ed al ripristino dei luoghi ed in alcuni casi l’ente potrà acquisire di diritto gratuitamente al patrimonio del comune parte del bene.

I casi più frequenti di interventi non autorizzati che comportano un abuso sono un soppalco non autorizzato, l’apertura o lo spostamento di una finestra, la realizzazione di una veranda sul terrazzo, il frazionamento di più unità, la modifica di un balcone. Non sempre è possibile sanare ed a volte è necessario riportare lo stato di fatto come nell’ultimo progetto autorizzato dal comune.

Irregolarità meno gravi

Altri tipi di irregolarità, meno gravi, comportano solo della sanzioni amministrative e possono essere risolte con una SCIA in Sanatoria o una CILA. Solitamente sono dovute alla modifica della distribuzione interna: spostamento della cucina, demolizione e ricostruzione di tramezzi, fusione di stanze.

La regolarizzazione può essere semplice ma bisogna sempre verificare se gli interventi rispondono alle normative comunali (igienico sanitarie ed edilizie). Ad esempio se è stato demolita una parete per allargare il soggiorno bisogna verificare che la superficie del nuovo ambiente sia maggiore di 1/8 della superficie delle finestre. Questo è un tipico caso in cui anche per un piccolo intervento non è possibile regolarizzare e per avere la completa regolarità urbanistica bisogna ricostruire la parete.

Condono e sanatoria

Regolarizzare una difformità non è sempre possibile. In alcuni casi si può procedere con una SCIA in Sanatoria o Permesso di costruire in Sanatoria (art. 36 del TUE dpr 380/01).

La sanatoria è differente dal condono perchè nel primo casi i lavori si potevano realizzare ma non è stato dichiarato niente al comune, mentre si richiede un condono se i lavori non si potevano realizzare perchè contrari alle normative edilizie.

Attualmente non è possibile richiedere un condono edilizio, che a differenza della Sanatoria (Art. 36) è un provvedimento eccezionale, gli ultimi sono stati nel 1985, 1994, 2003.

Legittimità della preesistenza

Un altra formula con cui viene definita la regolarità urbanistica è “legittimità della preesistenza“. Per preesistenza si intende lo stato di fatto in cui si trova l’immobile, per legittimità si intende la rispondenza del progetto alle normative edilizie al momento della realizzazione.

Documentazione da presentare al SUdE per accertare la conformità Urbanistica

La Dichiarazione sul fatto di non aver reperito titoli abilitativi non è sufficiente se non accompagnata da foto aeree, documenti catastali, atti notarili, contratti di locazione registrati, fotografie con data certa, ecc., necessari a rafforzare il valore indiziario della dichiarazione. Pertanto è necessaria Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da parte di n° 3 soggetti che attestano la presenza dell’immobile e che negli anni non sono stati effettuati interventi edilizi che hanno modificato il fabbricato.

Con l’entrata in vigore il 15 dicembre 2021, del Decreto Legislativo n.199 dell’8 novembre 2021, che attua la Direttiva UE 11/12/2018, n. 2001 (detta RED II), vengono introdotte nuove disposizioni in materia di fonti rinnovabili e costruzioni nuove o soggette a ristrutturazioni rilevanti.

Con il Decreto viene incrementata al 60% (sale rispetto al precedente 50%) la copertura da fonti rinnovabili dei consumi energetici. Si tratta di una percentuale valida per gli edifici privati, il cui raggiungimento diventa obbligatorio dopo 180 giorni dalla data di entrata in vigore, ovvero dal 13 giugno 2022.

Per gli edifici pubblici la quota da soddisfare è pari al 65%.

Ciò significa che, a partire dal 13 giugno 2022, l’obbligo entrerà in vigore per tutti i titoli abilitativi presentati, pertanto entro giugno 2022 sono aggiornate le disposizioni regionali o comunali in attuazione delle novità normative.

Il D.Lgs. 199/2021 legifera in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050. Al suo interno sono contenute disposizioni anche sulle procedure da attuare e i titoli abilitativi validi per l’installazione degli impianti negli edifici.

Cosa si intende per edificio sottoposto a ristrutturazione rilevante o edificio di nuova costruzione?

Le definizioni sono contenute nel D.Lgs 28 del 2011. Un edificio sottoposto a ristrutturazione rilevante rientra nelle seguenti categorie:

  1. edificio esistente avente superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro;
  2. edificio esistente soggetto a demolizione e ricostruzione anche in manutenzione straordinaria.

Per edificio di nuova costruzione si intende:

• edificio per il quale la richiesta del pertinente titolo edilizio, comunque denominato, sia stata presentata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs 28 del 2011.

A quali consumi si fa riferimento?

È all’art.26 del D.Lgs. 199/2021 che si parla di obbligo di utilizzo dell’energia rinnovabile per il miglioramento della prestazione energetica degli edifici.

L’obbligo di utilizzo di fonti rinnovabili, per gli edifici di nuova costruzione e ristrutturazioni rilevanti di edifici esistenti, almeno per il 60% (65% per gli edifici pubblici) riguarda la copertura dei consumi:

  • di calore,
  • di elettricità e
  • per il raffrescamento.

All’allegato III del D.Lgs. 199/2021 (Obblighi per i nuovi edifici, per gli edifici esistenti e per gli edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti) viene precisato che gli edifici in questione sono progettati e realizzati in modo da garantire, tramite il ricorso ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, il contemporaneo rispetto della copertura del 60% dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria e del 60% della somma dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria, la climatizzazione invernale e la climatizzazione estiva.

Quali sono gli edifici esonerati dall’obbligo

Ci sono categorie esonerate dall’obbligo e sono:

  • edifici allacciati ad una rete di teleriscaldamento e/o teleraffrescamento, purché’ il teleriscaldamento copra l’intero fabbisogno di energia termica per il riscaldamento e/o il teleraffrescamento;
  • edifici destinati a soddisfare esigenze temporanee e comunque da rimuovere entro 24 mesi dalla data della fine dei lavori di costruzione (l’indicazione di temporaneità dell’edificio e i termini per la rimozione devono essere espressamente contenuti nel pertinente titolo abilitativo alla costruzione);
  • edifici pubblici messi a disposizione di corpi armati se gli adempimenti risultano incompatibili con la loro natura e destinazione d’uso.

Al momento risultano esclusi dall’obbligo anche uffici, ospedali ed edifici commerciali, tuttavia a decorrere dal 1° gennaio 2024, gli obblighi verranno rideterminati con cadenza quinquennale ed è probabile che venga valutata l’estensione degli stessi agli edifici sottoposti a una ristrutturazione importante di primo livello, nonché alle categorie di edifici appartenenti a tali categorie con superficie utile superiore a 10.000 metri quadri, anche se non sottoposti a ristrutturazione.

Regole sui pannelli solari o fotovoltaici

L’allegato III del D.Lgs.199/2021 detta anche regole sui pannelli solari termici o fotovoltaici che nel caso in cui siano disposti su tetti a falda, devono essere aderenti o integrati nei tetti medesimi, con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda.

Nel caso di tetti piani, la quota massima, riferita all’asse mediano dei moduli o dei collettori, deve risultare non superiore all’altezza minima della balaustra perimetrale. Qualora non sia presente una balaustra perimetrale, l’altezza massima dei moduli o dei collettori rispetto al piano non deve superare i 30 cm.

Gli impianti fotovoltaici installati a terra non concorrono al rispetto dell’obbligo.

Circolare interpretativa inerente la definizione di Costruzioni Esistenti da parte dell’Ufficio Infrastrutture e Mobilità della Regione Basilicata. – Prot. n. 83338/2022 del 16/06/2022

In esito ai numerosi quesiti pervenuti a quest’Ufficio sulla definizione di “costruzione esistente”, al fine di fornire una interpretazione univoca dell’Ufficio Politiche Integrate per la Sicurezza, i Controlli e la Prevenzione Sismica, viene adottata la presente circolare.

Quando si parla di costruzioni esistenti, dal punto di vista strutturale, occorre partire dalla definizione contenuta nella normativa tecnica. Il cap. 8.1 del D.M. 17/01/2018 (NTC 2018) riporta testualmente:

“Si definisce costruzione esistente quella che abbia, alla data della redazione della valutazione di sicurezza e/o del progetto d’intervento, la struttura completamente realizzata”.

La Circolare n. 7/2019, poi, specifica che:

“In termini del tutto generali, con l’espressione struttura completamente realizzata può intendersi una struttura per la quale, alla data della redazione della valutazione di sicurezza e/o del progetto di intervento, sia stato redatto il certificato di collaudo statico ai sensi delle Norme Tecniche vigenti all’epoca della costruzione; se all’epoca della costruzione l’obbligo del collaudo statico non sussisteva, devono essere state almeno interamente realizzate le strutture e i muri portanti e le strutture degli orizzontamenti e delle coperture”.

§. 1 Vi sono, dunque, costruzioni esistenti per le quali il certificato di collaudo è assente perché i dispositivi di legge vigenti all’atto della loro realizzazione non prevedevano il deposito di alcun collaudo delle strutture, vale a dire:

  • edifici costruiti (di qualsiasi tipologia) in data antecedente al 19 aprile 1940 (entrata in vigore del R.D. del 16.11.1939 n. 2229);
  • edifici costruiti a partire dal 19 aprile 1940 e prima del 5 gennaio 1972 (data di entrata in vigore della Legge 1086/1971), non costituiti da struttura in conglomerato cementizio armato;
  • edifici non ricadenti in zona sismica, costruiti a partire dal 5 gennaio 1972, non costituiti da struttura in conglomerato cementizio armato normale o precompresso o a struttura metallica;
  • edifici ricadenti in zona simica costruiti prima dall’ 11 agosto 1997 (data di entrata in vigore della L.R. n. 38 del 06/08/1997) non costituiti da struttura in conglomerato cementizio armato normale o precompresso o a struttura metallica.

Per le opere e gli interventi strutturali suddetti, la struttura può definirsi “completamente realizzata” (e quindi esistente) se sono state almeno interamente realizzata le strutture e i muri portanti, e le strutture degli orizzontamenti e delle coperture (§ C8.1 della Circolare esplicativa n.7 del 21/01/2019) e risponde ai requisiti di legittimità disciplinati dal comma 1-bis dell’art. 9-bis del D.P.R. 380/01, che recita: “1-bis. Lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.”

In sintesi i requisiti di legittimità dal punto di vista urbanistico sono provati:

  • per gli immobili realizzati prima del 1942 (ovvero prima del 31/10/1942, data di entrata in vigore della L 1150/42) e per gli immobili realizzati fuori dai centri urbanidopo il 1942 e prima del 1967 per i quali non occorreva alcun titolo abilitativo, si applicano le disposizioni del secondo periodo del comma 1-bis dell’art. 9-bis del D.P.R. 380/01;
  • per gli immobili realizzati nei centri urbani, dopo il 1942 e prima del 1967, vi era l’obbligo del titolo abilitativo (Licenza Edilizia);
  • per gli immobili realizzati dopo il 1967, anche in aree collocate all’esterno dei centri abitati era necessario il titolo abilitativo (L.E. C.E., PdC, SCIA…);
  • nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia, si applicano le disposizioni del secondo periodo del comma 1-bis dell’art. 9-bis del D.P.R. 380/01.

Per il conseguimento dell’Agibilità, ai sensi dell’art. 24 del D.P.R. 380/01, con la SCA, Segnalazione Certificata di Agibilità, ai fini della sussistenza delle condizioni di sicurezza, ai sensi dell’art. 9 della L.R. 38/97 e ss.mm.ii., le costruzioni esistenti, non soggette a denuncia dei lavori/autorizzazione con le previgenti leggi e norme in materia di costruzioni, possono essere oggetto delle verifiche previste per la valutazione della sicurezza di cui al capitolo 8 del D.M. 17/1/2018 ed all’emissione di un Certificato di Idoneità Statica-Sismica che dovrà indicare anche la vita utile dell’opera. Il Certificato di Idoneità Statica-Sismica dovrà contenere una serie di accertamenti tecnici in conformità a quanto previsto nel D.M. 15/05/1985, come modificato dal D.M. 20/09/1985.

Ai sensi dell’art. 9 comma 8 della L.R. 38/97 e ss.mm.ii., le opere i cui progetti e relativi collaudi siano stati redatti con le norme previgenti al DM 14/01/2008 si intende la vita utile pari a 50 anni dall’ultimazione delle strutture.

Per tutte le strutture la cui vita utile risulta superata dovrà essere verificata la sussistenza delle condizioni di sicurezza con la verifica della sicurezza di cui al capitolo 8 del D.M. 17/1/2018.

Per le opere oggetto di condono edilizio, di cui alla Legge n. 47 del 28/02/1985, il Certificato di Idoneità Statica è equivalente al collaudo.

§. 2 Le costruzioni non riconducibili a quelle sopra elencate, ovvero le opere e gli interventi per i quali vigeva e vige l’obbligo del deposito del progetto delle opere strutturali e il deposito del collaudo sono riportate nella Tabella A, allegata alla presente circolare.

In merito a quanto sopra esposto si specifica quanto segue:

  • per gli interventi in c.c.a. realizzati tra il 19 aprile 1940 e il 5 gennaio 1972 è necessario accertare che per l’opera sia stato redatto e depositato presso la Prefettura il Certificato di Collaudo statico ai sensi dell’art. 4, comma 8 del Regio Decreto n. 2229/1939.

Qualora, a seguito di ricerche effettuate presso gli enti preposti al deposito del certificato di collaudo (Prefettura, Archivio di Stato…) non risulta possibile reperire il collaudo statico, tenuto conto delle difficoltà oggettive, e considerato che per tali opere, ai sensi dell’art. 9 comma 8 della L.R. 38/97, è già superata la vita utile di 50 anni, si ritiene, fatti salvi i pieni poteri disciplinari e sanzionatori della pubblica amministrazione in relazione agli accertamenti per i reati previsti dagli artt. 71 e successivi del DPR 380/01, che si possa procedere alla verifica della sussistenza delle condizioni di sicurezza con la verifica della sicurezza di cui al capitolo 8 del D.M. 17/1/2018 ed all’emissione del Certificato di Idoneità Statica–Simica, ai sensi dell’art. 9 comma 6 della L.R. 38/97 e ss.mm.ii..

In riferimento all’equiparazione del Certificato di Idoneità Statica Sismica al Collaudo si evidenzia anche quanto riportato in una sentenza del TAR della Regione Calabria (Sentenza n.00584/2019 REG.PROV.COLL n. 00758/2016 REG. RIC.) che recita testualmente: ”ai fini dell’equivalenza sostanziale, la relazione con cui si dichiara l’idoneità statica di una costruzione non possiede la medesima forza  di un certificato di collaudo, essendo quest’ultimo il prodotto di un insieme di obblighi e regole ben determinati (nella qualificazione dei tecnici, dei costruttori, dei materiali, delle ispezioni, ecc.). E’ anche vero, peraltro, che in alcuni casi la dichiarazione di idoneità statica può contenere (sempre sotto la responsabilità del tecnico incaricato) le stesse considerazioni in termini di valutazione della sicurezza strutturale di quelle contenute nel certificato di collaudo statico e condurre perciò alle medesime conclusioni sostanziali”.

  • Per gli interventi, in c.c.a. in c.a.p. e a struttura metallica, realizzati dopo il 5 gennaio 1972 e per quelli in muratura realizzati in zona sismica dopo il 21 marzo 1974, in assenza di Denuncia dei Lavori, si dovrà procedere al deposito del progetto in sanatoria, ai sensi degli artt. 2 e 6 della L.R. 38/97, come modificata dalla L.R. n 38/2020, e degli artt. 93 e 94 del D.P.R. 380/01.

§. 3 Per le opere oggetto di deposito ai sensi L. 1086/71, del D.P.R. 380/01 e della L.R. 38/97 per le quali non risulti redatta la Relazione a Struttura Ultimata e/o il certificato di collaudo, queste non possono essere sostituite dal Certificato di Idoneità Statica, in quanto la procedura dettata dalle citate norma prescrivono l’obbligo della redazione e del deposito della Relazione a Strutture Ultimate e del Certificato di collaudo, nei termini ivi fissati, con relative sanzioni di rilevanza penale per il Direttore dei Lavori e per il Collaudatore inadempienti.

In tali casi occorre concludere l’iter procedurale così come previsto dalla normativa in vigore al tempo della realizzazione delle opere, pertanto il direttore dei lavori delle strutture ha l’obbligo di depositare la Relazione a Struttura Ultimata, come prescritto dall’art. 6 della legge 1086/71 (attualmente dall’art. 65 comma 6 del D.P.R. 380/01 e dall’art. 3 della L.R. n. 38/97) e successivamente il collaudatore (art. 7 della L. 1086/71 e dell’art. 5 della L.R. 38/97) dovrà redigere e depositare il Certificato di Collaudo.

Tabella A – Opere e interventi che richiedevano il deposito di un progetto per le opere strutturali e il deposito del collaudo

Materiale della struttura
Vincolo
Norma
Entrata in vigore
Adempimenti normativi
Amministrazione preposta
Prima dell’inizio lavori
Ad Ultimazione Lavori
Calcestruzzo Armato R.D. n. 2229 del 16/11/1939 19/04/1940 Deposito progetto di massima (art. 4) Collaudo per ottenere la licenza d’uso (art. 4) Prefettura
Conglomerato cementizio armato normale e precompresso o a struttura metallica L. n. 1086 del 05/11/1971 05/01/1972 Deposito progetto esecutivo (art. 4) Relazione a struttura Ultimata (art. 6) Collaudo (art. 7) Genio Civile
Tutte Zona simica e/o

Abitato da consolidare

L. n. 1684 del 25/11/1962 22/12/1962 Autorizzazione (art. 2 e art. 26)[1] Genio Civile
Tutte Abitato da consolidare L. n. 64 del 2/02/1974 21/03/1974 Autorizzazione (art. 2)2 Genio Civile – Regioni
Zona simica alta sismicità Autorizzazione (art. 18) e Denuncia (art.17)3
Zona simica bassa sismicità Denuncia dei lavori (art. 17)3
Tutte Zona simica e/o Abitato da consolidare L.R. n. 40 del 29/11/1982 04/12/1982 Denuncia dei lavori (art. 1) 4 Regioni
Tutte Interventi realizzati con i benefici della L. 219/81 L. n. 219 del 14/5/1981 18/05/1981 Autorizzazione (art. 14)

Autorizzazione (art. 21-22)

Comuni

Regioni

Tutte Interventi realizzati con i benefici della L. 219/81 e  L. n. 187/82 L.R. n. 25 del 29/08/1983 04/12/19825 Deposito (art. 2) Comuni
Tutte Zona simica e/o Abitato da consolidare L.R. n. 38 del 6/08/1997 11/08/1997 Denuncia dei lavori (art. 2) Relazione a struttura Ultimata (art. 3) Collaudo (art. 5) Regioni
Conglomerato cementizio armato normale e precompresso o a struttura metallica D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 30/06/2003 Denuncia dei lavori (art. 65) Relazione a struttura Ultimata (art. 65) Collaudo (art. 67) Regioni
Tutte Abitato da consolidare Autorizzazione (art. 61)
Zona simica alta sismicità Autorizzazione (art. 94)6
Zona simica bassa simicità Denuncia dei lavori (art. 93) 6

[1] Per le opere in c.c.a. dovevano essere rispettate le disposizioni di cui all’art.4 del R.D. n.2229/1939;

2 Per le opere di c.c.a., c.a.p. e a struttura metallica dovevano essere rispettate le disposizioni di cui agli artt. 4, 6 e 7 della L.1086/71;

3 Per le opere di cui all’art.5, lett.a), della L.64/74, dovevano essere rispettate le disposizioni di cui agli artt. 6 e 7 della L.1086/71;

4 Per le opere di cui all’art.5, lett.a), della L.64/74, dovevano essere rispettate le disposizioni di cui agli artt. 6 e 7 della L.1086/71, mentre per le opere di cui alle lett. b), c) e d), doveva essere redatto il Certificato di Regolare Esecuzione (art.4 L.R. 40/82);

5 Ai sensi dell’art. 9 della L.R. 25/83, i progetti già depositati ai sensi della L.R. 29-11-1982, n. 40, dovevano essere trasmessi a cura degli uffici regionali ai Comuni.

Con il D.L. 24 ottobre 2019, n. 12, convertito con L.12 dicembre 2019, n. 156 sono soggetti ad autorizzazione in zona sismica solo gli interventi “rilevanti” nei riguardi della pubblica incolumità di cui all’art. 94-bis del D.P.R. 380/01.

Si tratta di intervento di edilizia libera. E’ necessario presentare una comunicazione di manutenzione ordinaria all’Ufficio tecnico comunale, indicando il colore che si intende utilizzare e se l’intervento debba essere eseguito in economia diretta o da un ‘impresa esterna.

Nell’eventualità che debbano essere installate impalcature sul suolo pubblico, sarà necessario rivolgersi all’ufficio vigilanza per pagare la tassa di occupazione suolo pubblico.

La sanatoria edilizia può essere concessa solo a condizione che sia rispettata la doppia conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, ma deve riguardare l’abuso nel suo complesso, escludendo la possibilità di sanatorie parziali.

E’ un principio cardine della giurisprudenza amministrativa in ambito edilizio e che il TAR Toscana ha nuovamente ribadito con la sentenza n. 727/2022.

Il caso in esame riguarda il ricorso presentato contro un’Amministrazione Comunale che aveva comunicato il diniego alla domanda di accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 per interventi edilizi non realizzati in conformità alle SCIA rilasciate al proprietario. In particolare, un fienile era stato trasformato in abitazione abbassando la quota del pavimento di calpestio con conseguente incremento volumetrico e frazionando indebitamente la struttura in tre miniappartamenti indipendenti; inoltre una serra solare è stata trasformata in veranda per la stabile permanenza di persone.

Il Comune ha quindi ingiunto la riconduzione degli immobili e dei terreni allo stato urbanistico legittimato. Il proprietario ha invece eseguito alcuni parziali ripristini, per poi chiedere l’accertamento di conformità delle difformità residue; la domanda è stata respinta e il diniego di sanatoria è stato impugnato.

Nel valutare il caso, il TAR ha ricordato che l’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) consente di sanare gli abusi edilizi alla duplice condizione che gli interventi realizzati senza titolo, o in difformità da esso, risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria.

La disposizione esprime il principio fondamentale della c.d. “doppia conformità”, che circoscrive la sanatoria, distinguendola così dai condoni edilizi straordinari, ai soli abusi formali.

Coerentemente con tale principio, la giurisprudenza amministrativa ha da un lato escluso l’ammissibilità di sanatorie parziali o condizionate di opere abusive che abbiano dato luogo a un intervento unitario, dato che l’art. 36 riguarda, appunto, l’intervento abusivo nella sua interezza e non alla singola opera abusiva.

Di conseguenza, il responsabile dell’abuso può percorrere solo due strade:

  • ripristino integrale dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione di tutte le opere accertate come abusive dall’amministrazione competente;
  • presentazione dell’istanza di accertamento di conformità riferita alla totalità dell’intervento abusivo.

Dall’altro lato, come spiega il TAR, è consolidato l’orientamento secondo cui non è consentito il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria subordinato alla realizzazione di lavori che consentano di rendere il manufatto conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della domanda o al momento della decisione.

La sanatoria “condizionata”, o “con prescrizioni”, contraddice infatti sul piano logico la previsione di legge nella misura in cui contiene in sé la negazione della “doppia conformità”, e si giunge a una conclusione analoga quando gli interventi volti a conformare gli abusi alla disciplina urbanistico-edilizia vengano apportati preliminarmente su iniziativa dello stesso richiedente il titolo in sanatoria, tanto più che le opere realizzate su manufatti abusivi partecipano della medesima natura di questi ultimi.

Sentenza

Come è noto, il d.p.r. 380/01 “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” ha subito importanti modifiche, in ordine alle procedure sulle funzioni in materia sismica, con il decreto legge 18 aprile 2019, n. 32 (cd “decreto sblocca cantieri”), e il decreto del 30 aprile 2020 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, pubblicato in G.U. n. 124 del 15 maggio 2020. In particolare, allo scopo di semplificare la disciplina degli interventi strutturali in zone sismiche, sono state introdotte tre tipologie d’intervento in rapporto alla loro “rilevanza nei confronti della pubblica incolumità”, distinguendo, per ciascuna tipologia, procedimenti amministrativi progressivamente più snelli per l’ottenimento dei necessari titoli abilitativi di competenza regionale.

Pertanto, per gli interventi di “minore rilevanza nei riguardi della pubblica incolumità” vige, ai sensi del comma 1 dell’art. 93, l’obbligo di preavviso scritto allo sportello unico e il contestuale deposito del progetto e dell’asseverazione del progettista sul rispetto delle norme tecniche per le costruzioni e sulla coerenza tra il progetto esecutivo riguardante le strutture e quello architettonico, nonché sul rispetto delle eventuali prescrizioni sismiche contenute negli strumenti di pianificazione urbanistica. Tale deposito è valido anche agli effetti della denuncia dei lavori di cui all’articolo 65 del d.p.r. 380/01.

Pertanto è necessario chiarire mediante Dichiarazione se trattasi di interventi di minore rilevanza nei riguardi della pubblica incolumità” di cui all’art. 94-bis del d.p.r. 380/01 comma 1 lett. b) al fine di stabilire se i lavori strutturali possono iniziare il giorno stesso in cui si trasmette la denuncia dei lavori allo sportello unico.

Per fabbricati rurali si intendono quegli edifici posti al servizio di terreni agricoli, o in quanto strumentali all’attività agricola medesima, o utilizzati quale abitazione dal coltivatore (sia esso il proprietario o affittuario, che rivestano la qualifica di imprenditore agricolo, o pensionato per attività svolta in agricoltura).

L’art. 9 del Decreto Legge 30.12.1993 n. 557 (convertito con modificazioni dalla Legge 26.02.1994 n. 133), istitutivo del Catasto Fabbricati, fornisce numerose disposizioni per individuare gli edifici cui può essere attribuita la caratteristica di ruralità.

Tra i fabbricati rurali come detto sono compresi sia immobili ad uso strumentale che ad uso abitativo; sono però esclusi da questi ultimi le unità immobiliari classificate catastalmente come A/1 e A/8, che non possono in alcun caso essere riconosciuti come rurali per espressa previsione normativa dell’art. 9 comma 3 lett. e) del già citato DL n. 557/93.

La trasformazione di un edificio a destinazione “rurale” in una unità con destinazione residenziale richiede il permesso di costruire.

Qualora il fabbricato, ex rurale, sia già stato destinato ad uso abitativo, al fine di procedere con la compravendita sarà necessario verificare la conformità tra assentito e realizzato. Nel caso di fabbricati rurali, autorizzati in data antecedente al 01/09/1967, per poter usufruire dell’immobile come abitazione sarà necessario procedere ad un cambio di destinazione d’uso.

Ad oggi, la normativa nazionale, afferma che l’uso rurale è completamente diverso da quello residenziale, pertanto, il passaggio di destinazione d’uso, sempreché sia consentito dallo strumento urbanistico locale, comporta la corresponsione di oneri più o meno importanti in funzione dell’incremento di carico urbanistico conseguente alla variazione

Per i vecchi fabbricati ubicati nel territorio rurale, da sempre ad uso abitativo, mai legati ad alcuna azienda agricola o coltivatore diretto, per i quali l’Agenzia del Territorio ha richiesto il passaggio dal catasto terreni al catasto urbano, si rende necessario presentare pratica edilizia per cambio di destinazione d’uso da abitazione rurale a civile abitazione con il pagamento degli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione.

Per rendere abitabile un edificio in campagna occorre adeguarne spazi e impianti, affinché siano rispettate le norme igienico sanitarie in fatto di superfici minime delle stanze, rapporti aereo illuminanti e salubrità degli ambienti. Si opererà anche la deruralizzazione urbanistica dell’immobile attraverso il pagamento dei contributi dovuti al Comune.

La ristrutturazione è eseguibile con CILA se si tratta di un restauro leggero e con SCIA nel caso di restauro pesante che comporta interventi strutturali. Al termine dei lavori occorrerà presentare nuova Segnalazione Certificata di Agibilità.

Il cambio di destinazione d’uso, anche se attuato con lavori di modesta entità o senza opere, si configura come una ristrutturazione edilizia soggetta a Permesso di Costruire,in quanto, alla fine dell’intervento, l’organismo edilizio è diverso dal precedente

Questi sono i passaggi principali dal punto di vista amministrativo e civilistico:

  1. Verifica della documentazione esistente.
    Controllo della legittimità della preesistenza al comune (conformità urbanistica-edilizia) ed al catasto (conformità catastale). Da questi elaborati parte qualsiasi richiesta di autorizzazione per modifiche dell’unità immobiliare.
  2. CILA o SCIA. Pratiche edilizie da presentare al Comune.
    Sono le pratiche edilizie con cui il frazionamento viene autorizzato dal punto di vista amministrativo ed urbanistico al Comune. In alcuni casi bisogna individuare o “monetizzare” la realizzazione di parcheggi pertinenziali secondo quanto previsto dalla “Legge Tognoli”
  3. Presentazione dell’aggiornamento catastale al Catasto.
    Soppressione del subalterno vecchio e la costituzione di due (o più) nuove unità immobiliari. Nelle note va richiamato il titolo abilitativo con cui si sono realizzati i lavori in modo da dimostrare la conformità urbanistica.
  4. Richiesta di autorizzazione al condominio.
    Necessaria per interventi che comportano la modifica delle parti comuni
  5. Nuovi allacci gas ed elettricità.
    Il frazionamento comporta la richiesta di nuovi allacci per elettricità o gas
  6. Trasferimento della proprietà.
    Il passaggio da un notaio è dovuto solo in caso di vendita dell’unità immobiliare.

Frazionamento catastale e urbanistico

Il frazionamento di un immobile, però, può essere inteso in due modi diversi. Frazionamento catastale e frazionamento urbanistico sono infatti le due facce della stessa medaglia, in modo analogo a quanto fanno conformità urbanistica e catastale.

  • Il frazionamento catastale ha lo scopo di registrare correttamente la suddivisione di un’unità immobiliare, fornendo un nuovo subalterno a ciascuna nuova unità.
  • Il frazionamento urbanistico invece si riferisce all’insieme di interventi edilizi (effettivi e permanenti) che hanno portato alla suddivisione dell’unità, aggiornando al contempo la piantina originale

Frazionamento immobile senza opere

  • Un’altra possibilità per la costituzione di un frazionamento immobiliare è quello di un frazionamento senza opere. Questo speciale tipo di frazionamento è, sostanzialmente, privo di opere strutturali importanti come solai o altre opere che necessitano di autorizzazione SCIA.
  • In un frazionamento immobiliare senza opere, infatti, sono effettuate solo opere di frazionamento semplici, per cui può andare bene anche la sola autorizzazione CILA. Questo tipo di interventi è consigliato a chi necessita della sola frazione, o a chi non desidera modificare l’aspetto (ovviamente in maniera decisa e aggressiva) della nuova frazione.
  • Tutto ciò che si viene a verificare, dunque, è la frazione dell’immobile.

FRAZIONAMENTO URBANISTICO

Il frazionamento urbanistico può essere definito come la legittimazione di tutti quegli interventi necessari alla divisione di un immobile e alla comunicazione dell’aumento del carico urbanistico al Comune di competenza.
Questo tipo di intervento ricade all’interno dell’Edilizia Libera (asseverata) ed è quindi necessario avvalersi di un professionista quale architetto, ingegnere o geometra.

L’iter procedurale è normato dal nostro ordinamento e prevede i seguenti passaggi:

  1. Comunicazione al Comune di competenza tramite il titolo abilitativo che meglio si “veste” all’intervento edilizio da realizzare.
  2. Lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria. Ottenuto il titolo abilitativo si procede all’esecuzione fisica delle opere.
  3. Frazionamento catastale comunicando la variazione catastale all’Agenzia delle Entrate.
  4. Comunicazione di fine lavori da trasmettere al Comune e dotare gli immobili di nuova agibilità/abitabilità.

In questo caso si sta parlando di una delle casistiche più frequenti e quindi non dev’essere presa come un ipse dixit.

FRAZIONAMENTO CATASTALE

Il frazionamento catastale non è altro che la comunicazione all’Agenzia delle Entrate della variazione catastale. La procedura viene effettuata inviando il DOCFA tramite il portale SISTer.

Trattandosi di divisione è necessario sopprimere l’attuale subalterno e costituire i nuovi utilizzando i primi disponibili dall’elenco subalterni. Se presente, è necessario modificare anche l’elaborato planimetrico.

Non dimenticate di verificare le disposizioni della circolare n.2/E del 01 Febbraio 2016 e successive note dell’Agenzia delle Entrate che prevede lo scorporo dei magazzini, cantine o soffitte.

Articolo 49
Modifica all’art. 5 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 “Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente”

1. Il comma 1 quinquies dell’articolo 5 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 è così modificato:
“1 quinquies. Il mutamento di destinazione d’uso a residenza è consentito per gli immobili ricompresi all’interno delle zone omogenee E, di cui al D.M. n. 1444/68, sempre che la destinazione d’uso dell’edificio sia già in parte residenziale legittimamente assentita alla conduzione del fondo agricolo nella misura massima del 30 per cento della superficie residenziale esistente.

Sono altresì consentite all’interno delle zone omogenee E, modifiche di destinazioni d’uso di edifici esistenti nella misura massima di metro quadrati 300 per consentirne l’utilizzo ai fini artigianali e
commerciali.
Il mutamento di destinazione d’uso è consentito in tutte le zone il cui piano dell’Autorità di bacino ha declassificato la pericolosità geologica prevista nei piani paesistici.”

La scelta del titolo abilitativo avviene per dimensioni, caratteristiche e materiali, controllare anche la normativa regionale Carlo Pagliai Autore La chiusura del proprio fondo e lotto di proprietà è considerato un diritto assoluto che il proprietario può effettuare in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, perfino senza permessi edilizi di alcun genere. In verità da decenni occorre fare la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios, e va riscontrata caso per caso in base alle caratteristiche del manufatto.
Questo principio è assai consolidato in giurisprudenza amministrativa e ci viene nuovamente ricordato dalla sentenza n. 1609/2022 del Consiglio di Stato, che vedremo di seguito.
La realizzazione di muri di cinta e recinzioni può avvenire con diverse caratteristiche costruttive, materiche, strutturali e ovviamente estetiche; di conseguenza esistono moltissime modalità di costruzione, in certi casi comportanti o meno impatto visivo e architettonico. Facciamo un paio di esempi contrapposti:
– a basso impatto, o prive di rilevanza edilizia: le recinzioni realizzate in rete con sostegni semplicemente infissi al suolo senza opere murarie, o le staccionate in legno semplicemente infisse al suolo, ecc;

– ad alto impatto o rilevante: muretti con fondazione e soprastante rete inferriata, oppure muro a tutta altezza, ecc.

Quando la recinzione costituisce trasformazione urbanistica edilizia del territorio
Il Testo Unico Edilizia DPR 380/01 non individua espressamente le recinzioni e muri di cinta tra le categorie di intervento, mentre prima della sua entrata in vigore furono inserite tra le opere sottoposte a Denuncia Inizio Attività (DIA) con L. 662/1996. Purtroppo l’attuale assenza di una chiara disciplina per realizzare o modificare le recinzioni (e muri di cinta) non aiuta il cittadino, tecnici e pubblica amministrazione a scegliere il relativo titolo edilizio. Questo vuoto è stato in parte colmato da quelle regioni che si sono dotate di una legge sul governo del territorio, con la quale hanno individuato le opere comportanti trasformazioni urbanistiche ed edilizie del territorio, quelle di minore rilevanza e perfino in edilizia libera. Tralasciando le regioni che hanno regolamentato ciò, analizziamo i principi e regole generali.
PARTIAMO DAL PRINCIPIO GENERALE: LA RILEVANZA DELL’OPERA
Per prima cosa riporto il principio generale consolidato in Consiglio di Stato:
“in materia urbanistica, non è necessario un idoneo titolo edilizio per la realizzazione di una recinzione nel caso in cui sia posta in essere una trasformazione dalla quale, per l’utilizzo di materiale di scarso impatto visivo e per le dimensioni ridotte dell’intervento, non derivi un’apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale, pertanto la distinzione tra esercizio dello ius aedificandi e dello ius excludendi alios va riscontrata nella verifica concreta delle caratteristiche del manufatto (Cons. di Stato n. 1609/2022, n. 8178/2019)”.
In esso si può ricavare un criterio generale passante sopratutto per l’entità e caratteristiche; trovo utile completare il ragionamento riportando un altro principio consolidato in giurisprudenza amministrativa:
“si deve, infatti, considerare che le recinzioni non comportanti, per caratteristiche costruttive (realizzate senza opere murarie, con rete metallica sorretta da paletti di ferro o di legno, prive di muretti di sostegno) un’apprezzabile trasformazione territoriale non richiedono alcun titolo edilizio, in quanto entro tali limiti il manufatto rientra tra le manifestazioni del diritto di proprietà rappresentando una manifestazione non dello ius aedificandi, ma del diritto di chiudere il fondo sancito dall’art. 841 c.c. (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 giugno 2018, n. 3661; sez. V, 9 aprile 2013, n. 1922); anche secondo altra (e più restrittiva) tesi giurisprudenziale, la realizzazione di una recinzione a protezione della proprietà, quando abbia dimensioni limitate, non è comunque considerata soggetta a permesso di costruire, non comportando una “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 380 del 2001, rientrando quindi (secondo questa tesi) nella nozione residuale degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (art. 22, ora segnalazione certificata di inizio di attività) (Cons. di Stato n. 8433/2021, n. 1997/2020).“
In base a questi principi e normative vigente, passiamo di seguito a chiarire la scelta dei vari titoli abilitativi.
Per prima cosa occorre valutare se l’opera costituisce trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, intesa come opera di una certa rilevanza e destinata a permanere nel tempo.
In caso positivo configura un’opera richiedente il permesso di costruire in base all’art. 10 c.1 lettera c) del DPR 380/01, in quanto rientrante in regime di nuova costruzione (categoria di intervento ex art. 3 comma 1 lettera e) del DPR 380/01). Per esempio ciò si applicherà per muri di cinta con altezza notevole, a maggior ragione se siano anche muri di contenimento o contro terra.
Purtroppo questo criterio rimane appunto un principio generale, da valutare sempre caso per caso in base alle caratteristiche: dimensionali materiche impattivo visivo e ambientale Pertanto in caso di dubbio è necessario confrontarsi con la Pubblica Amministrazione competente, possibilmente con la procedura prevista dall’art. 1 comma 3 del D.Lgs. 222/2016, al fine di ottenere espressa indicazione del corretto titolo abilitativo.

Le variazioni agli interventi edilizi sono una circostanza del tutto normale, se non fisiologica: la realizzazione di un’opera edilizia comporta spesso lievi scostamenti rispetto al progetto assentito dovuti a eventuali imprevisti che possono sorgere nel corso dei lavori, del continuo mutamento degli standard tecnici in materia edilizia oppure per cambiamenti di risultato richiesti dal committente.

Gli scenari sono due, ovvero la variante da effettuare potrebbe essere: “Leggere” o “Essenziali”
Variante a PdC non incidenti sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell’agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori (art. 22 comma 2 TUE);
Varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore (art. 22 comma 2-bis TUE);

Le varianti essenziali configurano un’opera sostanzialmente diversa da quella autorizzata dal Permesso di Costruire, ben distinta dagli elaborati progettuali contenuti in esso. Tra esse vi rientrano tutte le modifiche che non possono essere incluse nelle due casistiche “leggere” descritte poc’anzi. Ad esempio una variante che comporta aumento o diminuzione consistente della cubatura non rientra tra quelle “leggere”.

Entra in vigore oggi l’obbligo di coprire almeno il 60% dei consumi energetici, degli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, con fonti rinnovabili.

Lo prevede il Decreto Legislativo 199/2021 con cui l’Italia ha recepito la Direttiva 2018/2001/UE (RED II) sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.

Edifici nuovi o ristrutturati con 60% di rinnovabili

Gli edifici che saranno realizzati ex novo o sottoposti a ristrutturazione rilevante, sulla base di un titolo abilitativo presentato a partire dal 13 giugno 2022 (180 giorni dall’entrata in vigore del D.lgs, 199/2021), dovranno essere progettati in modo da garantire, tramite il ricorso ad impianti alimentati da fonti rinnovabili, il contemporaneo rispetto della copertura del 60% dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria e del 60% della somma dei consumi previsti per la produzione di acqua calda sanitaria, la climatizzazione invernale e la climatizzazione estiva.

Sono esclusi da questo obbligo gli edifici allacciati a una rete di teleriscaldamento e/o teleraffrescamento efficiente.

Negli edifici pubblici, le rinnovabili devono coprire il 65% dei consumi.

Ricordiamo che per il D.Lgs. 28 la definizione di “edificio sottoposto a ristrutturazione rilevante” è un edificio che ricade in una delle due seguenti categorie:

  1. edificio esistente avente superficie utile superiore a 1000 metri quadrati, soggetto a ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l’involucro;
  2. edificio esistente soggetto a demolizione e ricostruzione anche in manutenzione straordinaria”.

Rinnovabili, le procedure per l’installazione

Ricordiamo che il D.lgs. 199/2021 ha definito procedure omogenee per le nuove installazioni e la sostituzione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Ricordiamo che, per quanto riguarda gli impianti fotovoltaici e termici negli edifici, la legge di conversione del Decreto “Energia” (DL 17/2022) ha introdotto una vera e propria liberalizzazione.

L’installazione degli impianti fotovoltaici e termici sugli edifici o su strutture e manufatti fuori terra, e la realizzazione di tutte le opere funzionali alla connessione alla rete elettrica, sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinati all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso.

Nei centri storici e nelle aree sottoposte a vincolo, è liberalizzata l’installazione di pannelli integrati nelle coperture, non visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici. La liberalizzazione non riguarda le coperture realizzate con materiali della tradizione locale.

Rinnovabili, la percentuale di copertura aumenta negli anni

La percentuale di copertura dei consumi con fonti rinnovabili è stata elevata nel corso degli anni.

Inizialmente, per effetto del Dlgs 28/2011, era pari al 20%. Successivamente, per i titoli abilitativi richiesti entro il 31 dicembre 2017, è stata pari al 35%. Dal 2018 ad oggi la percentuale è stata pari al 50%.

Il progressivo innalzamento segue gli obiettivi di decarbonizzazione del sistema energetico al 2030 e di completa decarbonizzazione al 2050.

fonte: EDILPORTALE

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